09 agosto 2010

"I BACI MAI DATI" - UN FILM SU CATANIA. SENZA LA MAFIA - DA "L'ESPRESSO"

http://www.comune.catania.it/informazioni/news/catania-film-commission/roberta-torre/_mg_8600a.jpg


Un film girato a Catania. Girato a Librino, una delle più calde periferie catanesi. Un film che non parla di Mafia. Intervista alla Regista di "I baci mai dati", Roberta Torre.

Non parla di mafia?... "No". "E non c'è neanche una sparatoria?"."Neanche una". "E allora signorina perché siete venuta fino qua a fare il film?". Si erano persino offesi racconta Roberta Torre, gli abitanti di Librino, ex quartiere modello alla periferia di Catania. Offesi, quasi fosse stato tolto qualcosa all'identità culturale siciliana. "Ma l'avete visto "Gomorra"?", le chiedevano. E poi: "Quello sì che era un bel film!". E giù a citare a memoria scene e battute. "Questo invece di che parla? Un miracolo? Una storia di madonne? E che c'entra Librino?". In effetti bisogna ammetterlo la domanda è pertinente. Che c'entra con una storia di santeria felicemente visionaria un quartiere nato bene negli anni Settanta (dallo studio Kenzo Tange) e finito male già negli Ottanta (80 mila abitanti contro i 60 del progetto, assordante rumore dall'aeroporto troppo vicino e una massa di casette abusive a ridosso dell'edilizia programmata)?

"Come che c'entra? È uno dei protagonisti del film!". E ride Roberta Torre, regista allegra di natura, morbida, bella e ora molto contenta perché con il suo filmino "I baci mai dati", 80 minuti ("Non mi riesce mai di farli più lunghi"), basso budget, produzione assolutamente indipendente ("La mia Rosetta Film e Nuvola di Amedeo Bacigalupo che è un amico") nel prossimo Festival del cinema di Venezia apre Controcampo Italiano sezione patriottica e sperimentale. "Dunque", prosegue l'autrice, "solo lì, in piena estate nella periferia infuocata di Catania, in una grande città, nella città di quelle costruite senza misura d'uomo da perfidi architetti giapponesi, poteva avvenire un miracolo". Anzi più d'uno.

Il primo è produttivo: fare un film con pochi soldi, senza la Rai e andare a Venezia. "E in Sala Grande! Il concorso mi sarebbe piaciuto, ma pazienza. Però alla Sala Grande ci tenevo tanto". Il secondo miracolo è antropologico. Aver convinto i librinoti a partecipare a un film senza la mafia e a sottoporsi ai provini. Oltre 500 facce sono passate davanti all'obiettivo di Roberta : "Volti d'altri tempi, scavati come nella pietra, con occhi neri neri, profonde rughe. Un mondo di facce. Io amo le facce e il ritratto". E si vede. Una dopo l'altra, una processione di volti bisognosi di lavoro, salute, piccole gioie e un po' di aiuto, si alternano in un potente primo piano sullo schermo per chiedere la grazia a una ragazzina adolescente che l'intero paese si convince essere una rinata Bernadette: "Ha visto la Madonna! No, le è apparsa in sogno... Macché le è apparsa: le appare, le appare ancora!".

Terzo miracolo è la bravissima Donatella Finocchiaro nel ruolo della nervosa mamma della santa e di sua sorella Marianna, una specie di Paris Hilton di borgata concepite con Beppe Fiorello, ovvero lo sciagurato e nulla facentemarito. In tanto dissestato contesto la Finocchiaro quasi non si riconosce: bionda anzi gialla, modello Barale-Ventura, strizzata in abiti due taglie sotto il dovuto e nel primo ruolo comico della sua vita. "Io che le voglio bene le ho detto: "Donatella basta con la sicula sfigata e depressa, mo' devi far ridere"". E così l'ha scoperta una seconda volta la Torre, dopo che era stata costretta a litigare con Rita Rusic per imporla in "Angela". "L'ho trovata in una scatola di cartone spulciando disperata le foto di vecchi provini. Vista e presa: aveva la faccia giusta". Come anche giusta è la faccia di questa tredicenne catanese imbronciata (Carla Marchese) trovata in uno stabilimento balneare che interpreta la storia di una ragazzina eletta improvvisamente santa. E qui si scopre che fare la santa al Sud è un lavoro a tempo pieno. Si riceve la mattina e il pomeriggio con una breve pausa pranzo come dal medico Asl. La mamma sulla porta incassa, lei ascolta i questuanti circondata da ceri dell'Ikea, la regista dipinge un affresco corale di una commedia umana in un Sud un po' lamentoso, ma non disperato, che vive in un mondo surreale.

Ci sono: pescatori che sciolgono le reti nella piazza di cemento di una superquadra modello Brasilia; il negozio della capera-parrucchiera (cameo di Piera Degli Esposti) tinto con i colori del primo Almodóvar; la statua della Madonna piazzata in mezzo a Librino con curve esagerate e manone che sembra più il ritratto di un trans che una pia opera alla Manzù. "Non è colpa mia. Ho un'anima pop. Vengo dagli anni Sessanta sono cresciuta con Papalla e tutti i pupazzi di Armando Testa. E poi sono anche artista faccio collage e sto sempre a paciugare." Parola ligure, spiega, che sta per "creare pasticciando"come metodo di vita e di pensiero che le ha insegnato la sua mamma genovese, mentre da parte di babbo a Milano troviamo il mitico nonno Torre che come ingegnere alla Innocenti ha inventato la Lambretta e come giardiniere dilettante la rosa blu dedicandola a Marella Agnelli. Tale nonno, tale nipote. Roberta è da lì che ha preso la felicità dei colori, i geni creativi, l'indole allegra e libertaria.

fonte espresso.repubblica.it

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