L'Audi Q7 grigio metallizzato di Angelo Lombardo entra nella tenuta dove si terrà la festa per la sua elezione. Presenti alcuni boss catanesi
A sinistra il geologo Giovanni Barbagallo assieme a due presunti mafiosi davanti alla segreteria politica di Angelo Lombardo a Catania
L'Audi Q7 grigio metallizzata di Angelo Lombardo, fratello del governatore della Sicilia e deputato nazionale dell'Mpa, varca il cancello della masseria del geologo Giovanni Barbagallo in contrada Margherito, nelle campagne di Ramacca, alle 12,34 di domenica 4 maggio 2008. Ad attenderlo tutto il gotha di Cosa nostra catanese. Gli obiettivi dei carabinieri del Ros sono puntati su quel cancello e registrano la lunga teoria di Suv, fuoristrada e berline di mafiosi e colletti bianchi convocati per festeggiare, a vino rosè e quaglie alla brace, l'elezione del "loro" deputato nazionale. C'è anche Enzo Aiello, il rappresentante provinciale di Cosa nostra a Catania, in cima alla lista dei cinquanta arrestati della più grossa inchiesta su mafia e politica del Catanese nella quale sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa anche i fratelli Lombardo.
Il governatore, Raffaele Lombardo, alla festa di Margherito non c'è. Da quando è stato eletto alla presidenza della Regione - dicono i mafiosi intercettati - "Raffaele ha chiuso il cerchio". Per parlare con lui bisogna parlare con suo fratello Angelo, sul quale adesso i mafiosi contano parecchio per puntare anche ai flussi finanziari per appalti e opere pubbliche che arrivano da Roma. A quel summit, che i magistrati della Dda di Catania paragonano alla riunione di Appalachin, che vide riunito il vertice della mafia italo-americana dei Gotti e dei Gambino, Angelo Lombardo resta quasi quattro ore. I carabinieri filmano la sua auto che esce alle 16,20.
Le foto del summit, che provano la presenza di Lombardo a quel summit di mafiosi, sono finite nella corposa informativa dei carabinieri del Ros che costituisce l'ossatura dell'inchiesta. Elementi decisivi per illustrare quei "rapporti diretti tra i Lombardo e i boss di Cosa nostra" che i magistrati ritengono "provati". Così come le ripetute frequentazioni di esponenti delle cosche mafiose della segreteria politica di Angelo Lombardo in viale Africa 84 a Catania. Anche lì, gli uomini del Ros riprendono e ascoltano. Ed ecco insieme ancora il geologo Giovanni Barbagallo con Carmelo Finocchiaro e Giuseppe Tomasello, tutti poi in manette nel blitz del 3 novembre. È il 29 marzo 2008. Il geologo porta dal futuro deputato nazionale i due esponenti delle cosche: "Ti metti a disposizione che costruiamo il futuro...". In quella segreteria i boss promettono il loro sostegno per le campagne elettorali dei Lombardo, chiedono interventi per sbloccare pratiche alla Regione, per assunzioni, strade privilegiate per convogliare flussi di denaro pubblico verso le loro imprese. Una "fabbriceria elettorale", la definiscono i pm, messa su perché Cosa nostra - scrivono i pm negli atti depositati al gip - "operava per ottenere quale naturale, prevedibile e ambita contropartita la possibilità di controllare appalti pubblici finanziati e gestiti dalla Regione siciliana o, comunque, di appalti pubblici alimentati da risorse statali o comunitarie ma da realizzare pur sempre in Sicilia".
Accuse pesantissime quelle messe per iscritto dalla Procura di Catania che, pur non ritenendo di chiedere alcun provvedimento per i fratelli Lombardo, su di loro continua a indagare. Accuse dalle quali il presidente della Regione adesso chiede di potersi difendere prima davanti ai magistrati e poi davanti all'opinione pubblica così come gli hanno chiesto anche gli alleati del Pd siciliano che lo sostengono a costo di accese critiche all'interno del partito dove sono in tanti, da Veltroni alla Bindi, da Marino a Bianco, a sollecitare un passo indietro. Per questo Lombardo, che ha nominato un pool di difesa (Grazia Volo, Guido Ziccone, Massimo Motisi) ha presentato alla Procura istanza di formale interrogatorio. Il governatore, che nei mesi scorsi si è recato due volte dai pm per rendere dichiarazioni spontanee, vorrebbe adesso rispondere a precise contestazioni per dissipare le ombre di quello che definisce un "complotto politico-mediatico-giudiziario". "Chiedo di essere interrogato - ha scritto sul suo blog - Essere sentito da ospiti silenziosi non è più il caso. Non credo che ci sia più da salvaguardare alcuna riservatezza. La vicenda che mi riguarda, ormai da 9 mesi, gira su tutti i giornali, televisioni, siti internet di mezza Italia. Credo che sia giusto pretendere che una volta per tutte si formi la verità ascoltando il diretto interessato". Ma la Procura, da cinque giorni, fa orecchie da mercante e non risponde alla richiesta del governatore che ha trascorso il weekend in contatto con i suoi legali studiando le carte pubblicate per preparare una difesa che, a questo punto, potrebbe diventare solo pubblica.
fonte: repubblica.it
Il governatore, Raffaele Lombardo, alla festa di Margherito non c'è. Da quando è stato eletto alla presidenza della Regione - dicono i mafiosi intercettati - "Raffaele ha chiuso il cerchio". Per parlare con lui bisogna parlare con suo fratello Angelo, sul quale adesso i mafiosi contano parecchio per puntare anche ai flussi finanziari per appalti e opere pubbliche che arrivano da Roma. A quel summit, che i magistrati della Dda di Catania paragonano alla riunione di Appalachin, che vide riunito il vertice della mafia italo-americana dei Gotti e dei Gambino, Angelo Lombardo resta quasi quattro ore. I carabinieri filmano la sua auto che esce alle 16,20.
Le foto del summit, che provano la presenza di Lombardo a quel summit di mafiosi, sono finite nella corposa informativa dei carabinieri del Ros che costituisce l'ossatura dell'inchiesta. Elementi decisivi per illustrare quei "rapporti diretti tra i Lombardo e i boss di Cosa nostra" che i magistrati ritengono "provati". Così come le ripetute frequentazioni di esponenti delle cosche mafiose della segreteria politica di Angelo Lombardo in viale Africa 84 a Catania. Anche lì, gli uomini del Ros riprendono e ascoltano. Ed ecco insieme ancora il geologo Giovanni Barbagallo con Carmelo Finocchiaro e Giuseppe Tomasello, tutti poi in manette nel blitz del 3 novembre. È il 29 marzo 2008. Il geologo porta dal futuro deputato nazionale i due esponenti delle cosche: "Ti metti a disposizione che costruiamo il futuro...". In quella segreteria i boss promettono il loro sostegno per le campagne elettorali dei Lombardo, chiedono interventi per sbloccare pratiche alla Regione, per assunzioni, strade privilegiate per convogliare flussi di denaro pubblico verso le loro imprese. Una "fabbriceria elettorale", la definiscono i pm, messa su perché Cosa nostra - scrivono i pm negli atti depositati al gip - "operava per ottenere quale naturale, prevedibile e ambita contropartita la possibilità di controllare appalti pubblici finanziati e gestiti dalla Regione siciliana o, comunque, di appalti pubblici alimentati da risorse statali o comunitarie ma da realizzare pur sempre in Sicilia".
Accuse pesantissime quelle messe per iscritto dalla Procura di Catania che, pur non ritenendo di chiedere alcun provvedimento per i fratelli Lombardo, su di loro continua a indagare. Accuse dalle quali il presidente della Regione adesso chiede di potersi difendere prima davanti ai magistrati e poi davanti all'opinione pubblica così come gli hanno chiesto anche gli alleati del Pd siciliano che lo sostengono a costo di accese critiche all'interno del partito dove sono in tanti, da Veltroni alla Bindi, da Marino a Bianco, a sollecitare un passo indietro. Per questo Lombardo, che ha nominato un pool di difesa (Grazia Volo, Guido Ziccone, Massimo Motisi) ha presentato alla Procura istanza di formale interrogatorio. Il governatore, che nei mesi scorsi si è recato due volte dai pm per rendere dichiarazioni spontanee, vorrebbe adesso rispondere a precise contestazioni per dissipare le ombre di quello che definisce un "complotto politico-mediatico-giudiziario". "Chiedo di essere interrogato - ha scritto sul suo blog - Essere sentito da ospiti silenziosi non è più il caso. Non credo che ci sia più da salvaguardare alcuna riservatezza. La vicenda che mi riguarda, ormai da 9 mesi, gira su tutti i giornali, televisioni, siti internet di mezza Italia. Credo che sia giusto pretendere che una volta per tutte si formi la verità ascoltando il diretto interessato". Ma la Procura, da cinque giorni, fa orecchie da mercante e non risponde alla richiesta del governatore che ha trascorso il weekend in contatto con i suoi legali studiando le carte pubblicate per preparare una difesa che, a questo punto, potrebbe diventare solo pubblica.
fonte: repubblica.it
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