Niente risarcimento per Laura Salafia, la studentessa universitaria colpita da un proiettile impazzito il primo luglio dell’anno scorso in piazza Dante a Catania. Andrea Rizzotti, il pistolero che l’ha ferita, è nullatenente. La 34enne studentessa di Sortino, rimasta paralizzata dal collo in giù, è ancora ricoverata nel Rehabilitation Institute di Imola dove da quel maledetto giorno che le ha segnato per sempre la vita è impegnata in una dura lotta con una difficile riabilitazione neurologica e motoria. Cure specialistiche molto costose che, adesso è certo, dovranno essere sostenute da Laura e dalla sua famiglia. «Dalle visure che abbiamo disposto in tutta Italia – spiega l’avvocato Carmelo Peluso, legale di Laura Salafia – è emerso che Rizzotti non possiede niente. È una vicenda amarissima, che ha ulteriormente gettato nello sconforto un’intera famiglia distrutta e provata da una simile tragedia».
Le leggi dello Stato prevedono il risarcimento solo per le vittime di mafia. Non è il caso di Laura, che potrà contare solo sul rimborso delle spese coperte dal servizio sanitario nazionale. Ben poca cosa rispetto alle notevoli spese già sostenute e a quelle che dovranno ancora affrontare per chissà quanto tempo i familiari della sfortunata donna che «è bloccata – ricorda il legale - dal collo in giù e le sue condizioni sono difficilmente reversibili». Un aiuto economico sarebbe dovuto arrivare dall’Università di Catania, attraverso una raccolta fondi proposta a caldo dal rettore Salvatore Recca. Ma a quanto pare l’Ateneo, che sull’onda emotiva si era mobilitato al fianco di Laura, si è dimenticato della studentessa. La sottoscrizione infatti non è mai partita. Anche in questo caso, l’avvocato Peluso si fa interprete dell’amarezza dei familiari e ricorda che «il rettore si era messo a disposizione, ma credo che né il sottoscritto né la famiglia possa e debba chiedere qualcosa. Deve essere il rettore a prendere l’iniziativa».
Come si ricorderà, la tragedia della studentessa si consumò in pochi attimi il primo luglio del 2010 a pochi metri dall’ex Monastero dei Benedettini. Laura aveva appena sostenuto un esame alla facoltà di Lettere e Filosofia quando fu ferita gravemente alla nuca da uno dei cinque proiettili sparati dal cinquantacinquenne Andrea Rizzotti, all’epoca impiegato del Comune come guida-custode della Chiesa di San Nicolò, e indirizzati verso il pregiudicato Maurizio Gravino per risolvere uno screzio personale. Il processo si è aperto al Tribunale di Catania nello scorso giugno e vede alla sbarra il feritore che è imputato di duplice tentato omicidio.
Fonte: Corriere della Sera
2 commenti:
Nulla tenente...ma si vergognino i suoi familiari piuttosto a non sentirsi in DOVERE di aiutare anche un minimo LAura e la sua famiglia. VERGOGNA!!!
LIVESICILIACATANIA
Rischiava un'ischemia chiama il 113 per farsi curare
Rischiava un'ischemia celebrale, non c'erano medici in corsia e per farsi curare ha dovuto chiamare le forze dell'ordine. Ecco il racconto di un lettore di LiveSiciliaCatania di un giorno di ordinaria malasanità all'Ospedale Garibaldi Nesima. Pellicanò, manager dell'azienda ospedaliera conferma: “Ho disposto un'indagine interna”
CATANIA – Un banale intervento, l’estrazione di una vena varicosa, poteva trasformarsi nell’ennesimo caso di malasanità all'Ospedale Garibaldi Nuovo. La denuncia, segnalata da un nostro lettore, punta il dito verso il nosocomio catanese.
La cronaca. Era l'11 gennaio 2013, un sabato, quando la paziente subisce l’intervento per l'estrazione di una vena varicosa. Terminata l'operazione l'infermiere di turno avrebbe sostenuto, secondo la denuncia del lettore a LiveSicilia Catania, che la donna poteva essere dimessa subito. "La domenica non ci sono medici in reparto" avrebbe aggiunto, però, l’infermiere ai familiari della degente. Le dimissioni, dunque, dovevano essere posticipate al lunedì successivo.
La paziente dopo qualche ora inizia a manifestare dei dolori, tanto che la domenica, denuncia dei forti malori e, sempre secondo il racconto del lettore, si sarebbe rivolta all'infermiere di turno che, però, avrebbe risposto: “Il dolore è normale a causa dell'intervento, non si preoccupi, purtroppo sono solo in reparto, non ci sono medici fino a lunedì". Ma il dolore persiste e aumenta di ora in ora.
La situazione si aggrava e i familiari decidono di chiamare la polizia. Ed è solo grazie all'intervento delle forze dell'ordine che sarebbe stato possibile rintracciare l'unico medico reperibile poiché in servizio al pronto soccorso. Un medico otorino che visita la donna e la sottopone ad una tac. “Ringraziamo questo medico – affermano i familiari – poiché grazie alla Tac è stato riscontrato alla paziente un principio di ischemia”.
La donna che doveva essere dimessa l'indomani, invece, viene trattenuta in ospedale. “Siamo senza parole - commentano i parenti - Come è possibile che si verifichino questi atti di completa negligenza? Durante quelle giornate siamo rimasti più volte bloccati in ascensore per più di 30 minuti. E come se non bastasse, al momento delle dimissioni, è stata rilasciata, - raccontano - per sbaglio, la cartella clinica di un'altra paziente”.
Dall’Ospedale arriva la replica. “La Direzione Generale dell’Arnas Garibaldi, ha subito dato incarico al Direttore Sanitario del Presidio di Nesima di disporre una specifica indagine interna –dichiara il Direttore Angelo Pellicanò a LiveSiciliaCatania- per verificare quanto accaduto e se vi siano stati errori sulle procedure adottate dalla struttura nella fase di ricovero, di assistenza e di dimissione".
Lunedì 28 Gennaio 2013 - 20:37 di Federica Campilongo
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